Se all’inizio del Seicento il violino essenzialmente raddoppiava la voce in brani polifonici, entro la fine del XVII secolo esso assurgerà a re indiscusso degli strumenti per espressività, tanto che, già nel 1640, G. B. Doni scriveva del violino che esso era “il compendio di tutta la musica”, per la sua versatilità straordinaria, perché nessun altro strumento “meglio esprime(va) la voce umana”. Partendo da mirabilissime diminuzioni su mottetti vocali (F. Rognoni) e passando attraverso l’accurata rielaborazione di canzoni per farne sonate (G. B.Fontana), il linguaggio vocale viene progressivamente abbandonato fino ad approdare alle “curiose et moderne inventioni” per violino a cui B. Marini allude nel frontespizio della sua importantissima opera ottava (1626). Si tratta di trovate tecniche innovative: il “tremolo con l’arco” per imitare il suono dell’organo, l’utilizzo delle corde doppie (che crea l’impressione di sentire due violini), gli effetti di eco, la scordatura…
Tutti questi strumenti espressivi saranno ripresi e sviluppati da altri violinisti italiani e d’oltralpe per tutto l’arco del secolo, passando attraverso la fortunata Ciaccona di A. Bertali, per approdare infine agli stravagantissimi ed affascinanti prodotti dell’ingegno di H. I. F. Biber. Grandissimo virtuoso del violino, egli imprimerà un’ulteriore accelerazione allo sviluppo tecnico ed espressivo dello strumento, arrivando, con le sonate cosiddette del Rosario (1678ca.), a costituire quasi un’enciclopedia dell’espressione violinistica. Siamo ormai nel cuore del più alto stylus phantasticus, lo stile strumentale per antonomasia,secondo le parole di A. Kirchner “il più libero metodo di composizione”: libero dall’imitazione, forte ormai di un fittissimo vocabolario prettamente strumentale. Gli affetti umani, si sono fusi con le regole dell’armonia; l’imitazione è compiuta; la realtà delle
emozioni umane è superata e sublimata nella sua rappresentazione.