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What is a fancy word for ending

By Ven 18 Febbraio 2022 Aprile 27th, 2022 No Comments

Studio – Restituzione di fine residenza

What is a fancy word for ending è un’indagine sul tema della fine e su ciò che accade tra una fine ed un nuovo inizio. Quanti ultimi baci hai dato? Quanti scatoloni da trasloco hai imballato? Quanti biglietti solo andata hai comperato? A quanti progetti hai detto addio? Quanti lavori hai cambiato? Quante volte hai sentito il tuo cuore farsi in mille pezzi? Quante volte hai dovuto ricominciare?
A noi tutto questo è successo tante, tantissime volte. E nonostante ciò, ogni fine ci coglie impreparate.
“Così l’addio diventa un vizio. Spento uno, se ne riaccende un altro. Di quanto faccia male smettiamo presto di preoccuparci.” (Catalogo degli addii, M. Mander – B. Giacobbe)

A differenza della generazione precedente, la narrazione delle nostre vite è continuamente spezzata: il lavoro non dura più una vita intera, tanto meno le relazioni e anche i luoghi diventano transitori, così come le nostre case. Ai grandi finali irreversibili, se ne accompagnano molti altri, figli di una precarietà del tutto nuova ed imprevista, di cui siamo gli sfortunati pionieri. “Il tratto caratteristico dell’incertezza attuale […] è il fatto che esiste senza che ci siano disastri storici incombenti. Al contrario, la sua esistenza è integrata nella vita quotidiana di un vigoroso capitalismo: si dà per scontato che l’instabilità sia normale.” (L’uomo flessibile, R. Sennett)
Eppure della fine, non sappiamo prenderci cura. La si supera, si va avanti, si ricomincia. La fragilità, il fallimento, lo spaesamento, tutte condizioni che non trovano mai lo spazio di essere, ma che rimangono sepolte come un sottofondo sommerso nel rumore di mille nuovi inizi.
Usiamo lo spazio scenico come luogo di osservazione e sperimentazione. Nel nostro mondo in cui chiusa una porta si apre un portone, scegliamo invece di osservare e osservarci mentre la porta si chiude.  Quali le paure? Quali le possibilità?
Cerchiamo di fermare questo momento sospendendolo, portandolo all’estremo attraverso la reiterazione, ripercorrendolo attraverso il meccanismo del loop e del rewind, come uno studio scientifico per prove ed errori. In cui la cavia siamo noi.
La narrazione si genera su più piani: uno affidato alle immagini video e al suono ed un secondo livello, incarnato dai corpi in scena, alla ricerca di nuove possibilità che sfidano questa ineluttabilità, ne studiano i limiti, in un gioco alla ricerca di soluzioni che vadano oltre il binarismo inizio-fine.
Il corpo in scena apre nuove temporalità, nuovi possibili finali, luoghi di stasi, dandosi la possibilità di sottrarsi, abitando, quindi, quello spazio liminale che ci viene costantemente negato.
Lo spettacolo si compone attraverso l’accostamento ritmico di suoni, immagini video e di corpo in scena, in un dialogo la cui drammaturgia funziona per rimandi, contrapposizioni e e giustapposizioni. La linearità della narrazione è continuamente spezzata e si fa metafora della temporalità frammentata che caratterizza oggi le nostre vite.

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