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La scomparsa di Majorana

By Gio 14 Novembre 2019 Febbraio 17th, 2020 No Comments

Dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia
Trasposizione teatrale e regia Fabrizio Catalano

Un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva.
Leonardo Sciascia

Note di regia
In una stagione come quella che stiamo vivendo, caratterizzata dallo sfaldamento dei valori morali, dall’esaltazione dell’ego, dall’ansia del profitto e dalla deriva della scienza, è necessario rievocare figure come quella di Ettore Majorana. Scomparso nel 1938, partito in nave da Palermo ma apparentemente mai approdato a Napoli, il giovane e promettente fisico siciliano, chiuso in se tesso e concentrato su studi di cui non parlava con nessuno, aveva forse intuito prima d’ogni altro la strada per la creazione di una devastante arma nucleare; e ne era rimasto atterrito, e aveva voluto estraniarsi dal mondo prima che questo precipitasse nel baratro dell’era atomica. Questa, almeno, è la tesi di fondo di uno dei maggiori autori del ‘900, Leonardo Sciascia, che allo scienziato e al suo dramma interiore ha dedicato uno dei suoi libri più illuminanti: La scomparsa di Majorana. E questa vuole essere la nostra convinzione – oggi, a ottant’anni di distanza dei tragici eventi del ’38 e a trenta dalla morte dell’autore de Il giorno della civetta – perché a volte, più che la laboriosa ricostruzione di eventi e dettagli, conta il senso delle cose. E il senso della vicenda di Majorana è che non c’è futuro per l’umanità senza l’etica, senza la sincerità, senza la poesia.

Questo spettacolo è un’indagine poliziesca, è un thriller ad orologeria, è un sogno ad occhi aperti. Una notte d’agosto del 1945, una località italiana che non viene mai definita, le rappresaglie dei partigiani, il caos. Uno studio, in un ospedale di provincia; una donna che, dopo aver ucciso da partigiana, è tornata a indossare il camice bianco: per medicare, per guarire. Un uomo, avvolto in una tunica da certosino, che rifiuta di rivelare la propria identità. Un commissario di pubblica sicurezza che crede di riconoscere, nei tratti del monaco, quelli di Ettore Majorana, al quale invano ha dato la caccia per tanto tempo. Laura Fermi, la moglie dell’illustre premio Nobel, chiamata a identificare il giovane scienziato dileguatosi nel nulla. Questi quattro personaggi, per tutta la notte, oltre l’alba, fino al tragico scioglimento dell’enigma, daranno vita ad una sorta di processo: dove l’intruso si trasformerà da imputato in accusatore, da inquisito in voce della coscienza.

Poco alla volta, emergeranno i tormenti di un genio che avrebbe potuto cambiare il destino dell’umanità, e che invece ha preferito essere un ragazzo schivo, per nulla competitivo o in cerca della gloria. Spesso isolato, con rarissimi amici. Alcuni di questi, nella Germania che nel ’45 ha appena perso la guerra. Ciò ha alimentato, nei decenni successivi, la detestabile ipotesi che Majorana avesse simpatie naziste. Non le aveva – le sue lettere in proposito sono abbastanza chiare – come non le aveva Heisenberg, che di Majorana era stato mentore e guida nell’ambiente dell’Università di Lipsia, dove si discuteva di fisica come di filosofia e dove Ettore era davvero a suo agio. Sì, perché questa storia è anche la dimostrazione del fatto che non è così semplice dividere il mondo in buoni e cattivi: e se Majorana fuggì di fronte all’orrore della bomba atomica, Heisenberg, che pure avrebbe potuto fabbricarla per Hitler, non spinse mai le sue ricerche fino alle estreme conseguenze. E questo mentre altrove – negli Stati Uniti che avevano la missione di riscattare il pianeta – Oppenheimer, Fermi e il gruppo del Progetto Manhattan, come sotto ipnosi, schiavi dell’ambizione e incuranti delle vittime che la loro invenzione avrebbe provocato, alacremente lavoravano all’arma di distruzione di massa, che consegnarono agli alti comandi dell’esercito americano con tanto d’istruzioni sulle città che avrebbero dovuto essere colpite! Insomma, per dirla con Sciascia: si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà.

In un contesto come quello attuale, il teatro deve diversificare la propria offerta e accendere il dibattito, stimolare domande e riflessioni, suggerire idee e punti di vista inediti. Deve calarsi nella realtà: scandagliare il passato e contribuire a migliorare il futuro. Una storia vera come quella di Majorana – il tormento struggente di un individuo che vorrebbe salvare il pianeta dalla catastrofe – è al contempo un susseguirsi di emozioni e un monito per l’avvenire. Ognuno di noi può compiere un piccolo gesto, per proteggere l’umanità dall’autodistruzione. Ognuno di noi ha il diritto e l’obbligo di farlo.

Fabrizio Catalano

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