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Programma

FRANCESCA SANTAMARIA + VITTORIO PAGANI

By Mar 28 Novembre 2023 Gennaio 4th, 2024 No Comments

La parola greca che vuol dire corpo appare in Omero solo per indicare il cadavere. È
questo cadavere, quindi, anzi, sono il cadavere e lo specchio che ci insegnano (che
hanno, cioè, insegnato ai greci e ora ai bambini) che abbiamo un corpo […]

M. Foucault

COME SOPRAVVIVERE IN CASO DI DANNI PERMANENTI di Francesca Santamaria è una radiografia coreografica. Un referto che svela un corpo non utopico, il funzionamento di una macchina imperfetta, gli ingranaggi di un organismo corruttibile. È l’attraversamento di
un archivio, testuale e sonoro, legato ad infortuni e debilitazioni, che indaga il tema del dolore fisico ed emotivo post-trauma. In una sala “operatoria” asettica e su sonorità che nascono dal ribaltamento de La morte del cigno, vengono vivisezionati una sequenza di movimento e il corpo di una danzatrice. Cosa si nasconde in un corpo “performante”? Ha senso sopravvivere?
Fino a che punto? A quale costo? 

La ricerca nasce dal riattraversamento di esperienze autobiografiche e dallo studio di un archivio personale composto da documenti visivi, sonori e testuali legati ad infortuni e debilitazioni fisiche. La tematica principale indagata è il dolore prima fisico e successivamente emotivo che nasce in seguito ad eventi traumatici. Partendo da uno spunto personale, si genera una più ampia meta-riflessione sul corpo di danzatori/trici. Così come spesso accade nella società, anche nell’ambiente coreutico il dolore e la malattia sono dei tabù: si tende a nasconderli, a far finta che non ci siano. Si prova a comunicare all’esterno una parvenza di benessere e di onnipotenza. In questo progetto si vuole fare l’inverso: dichiarare, palesare, mostrare quello che si tenta di nascondere. Molta parte della riflessione ha interessato la ri-messa in atto dell’evento traumatico.
Come si fa a riattraversare il dolore e a non, semplicemente, rappresentarlo? È da questa domanda che nasce la necessità di creare limiti fisici nel qui ed ora dell’atto scenico. Cosa crea questo nel corpo di oggi? Quali tensioni interne e memorie riaffiorano?

 

A Solo in the Spotlights di Vittorio Pagani nasce dal desiderio di fare luce su aspetti della vita del performer che raramente raggiungono la scena, sottolineando anche le fratture interne che causate dall’interpretazione di un ruolo, e gli effetti che le istituzioni della danza possono avere sugli artisti che le abitano. Una volta messi in chiaro i miei intenti, ho iniziato a scrivere delle mie esperienze nel mondo delle danza, ponendo l’accento su quali immagini ciascuna di esse suscitava in me: quando questi testi sono sembrati completi, ho capito che includerli nella piece sarebbe stato un interessante tuffo negli stessi ordini gerarchici che descrivevano: dall’esibirsi sotto di loro all’esibirsi con e su di loro. Applicare la danza a queste parole ha da subito messo in luce i taciti contratti e la connivenza con i quali ho agito in quanto interprete. Questo ritorno al mestiere della danza a partire dal testo, confidando nelle metafore, nei simboli e nelle energie con cui la danza si articola, è stata una riscoperta fruttuosa e personalmente gratificante. Volendo creare un’opera sovvertendo l’ambientazione teatrale guardando ai meccanismi che questo ambiente attiva in me, ho esplorato come le immagini pre-costruite che sono state applicate alla mia danza durante i processi di creazione ne abbiano cambiato la mia percezione, sfocando i confini tra individuo e interprete, tra soggetto e oggetto (…). Ho visualizzato questo processo in modo molto simile alla creazione di icone e personaggi cinematografici, individui che modellano la propria immagine per raggiungere obiettivi commerciali, artistici e sociali.

 

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