Nel nuovo riallestimento di Fabrizio Monteverde non cambiano l’atmosfera, il sapore, l’ambientazione e i valori di una preziosa coreografia del repertorio del Balletto di Roma. Si percepisce, nei brividi di Händel, una malinconica tristezza che caratterizza anche il tempo presente, svelata dalle angosce dei soprusi familiari, patriarcali e di genere. Secondo Monteverde quella di Cenerentola è una storia apparentemente semplice: rivalità tra sorelle, desideri inespressi che finalmente si realizzano, la virtù premiata anche se vestita di stracci, la punizione per i malvagi e gli sfruttatori. In realtà sotto questa superficie lineare e apparentemente trasparente si nascondono dei complessi sentimenti inconsci, che sono poi alla base del successo della storia di Cenerentola nel corso dei secoli, e che tracciano il percorso di crescita e di sviluppo della personalità, fino alla piena realizzazione del sé. È una fiaba che continua a parlare di adolescenza, della fatica di crescere specialmente per chi è ai margini, delle prove da superare per raggiungere l’autonomia, ma soprattutto del ruolo effimero dell’immagine esteriore, come parametro considerato ieri come oggi – il “c’era una volta”, ma che oggi c’è ancora – fondamentale per potersi affermare nella vita e nelle relazioni sociali. Quest’opera di Fabrizio Monteverde, come tutte le sue famose rivisitazioni di grandi classici, tende a svuotare l’antica favola da tutti gli elementi più noti, conosciuti attraverso i balletti di repertorio e la filmografia recente, rovesciando la tipica ambientazione fiabesca in un mondo crudo e opprimente, di cui sono sottolineati i contenuti soprattutto negativi, ma che alla fine sfociano in una profonda e innocente introspezione. Nel linguaggio del coreografo c’è richiamo all’ingiustizia, voglia di emancipazione e insieme quella umiltà destinata a durare per sempre: la convinzione che questi valori possano esplodere ed esprimersi in sentimenti puri e folli come l’amore e la felicità, trasuda in tutto lo spettacolo dalle luci ai costumi e al trucco, sino all’originale scenografia.