L’azione si svolge dal 10 al 25 dicembre 1223, quando San Francesco dopo aver chiesto il permesso a Papa Onorio III, rievoca, a Greccio, la natività. Chiama quella rievocazione “praesepe” che in latino indica lo spazio degli animali chiuso dalle siepi dove vi è la mangiatoia in cui Gesù fu deposto. Il primo presepe fu povero, così da rendere visibili i disagi in cui si trovò il Salvatore, privo di tutte le cose necessarie ad un neonato. C’erano solo il bue, l’asinello e la mangiatoia. San Francesco non volle altro, non voleva “fare uno spettacolo da far vedere ai curiosi. Lo spettacolo è irrispettoso nei confronti del grande mistero religioso”. Per questo non volle nessuno al posto della Madonna, di San Giuseppe e del bambino. Fu una “ricostruzione visiva e vera” della nascita di Gesù la cui presenza arrivò attraverso la messa celebrata dal Santo. Quel primo presepe, che faceva rivivere con semplicità, povertà e umiltà, la storia vissuta a Betlemme, permise a tutti di “andare in Terrasanta”. Da lì a tre anni il poverello di Assisi (ormai quasi cieco) sarebbe morto. Il patrono d’Italia è stato tante cose: metà religioso metà laico, ai margini della Chiesa ma non eretico, predicatore, difensore dei poveri, animalista, ecologista ante litteram. Nel testo dello spettacolo le sue parole si mescolano a quelle di Papa Francesco, come lui sostenitore del dialogo interreligioso e pacifista, a sottolineare l’attualità del messaggio: “la pace non è un sentimento poetico idilliaco, è resistere al male, amore per il prossimo, saper perdonare. La guerra non è mai necessaria, né inevitabile. Si può sempre trovare un’alternativa: è la via del dialogo, dell’incontro e della sincera ricerca della verità”. Un messaggio che ci auguriamo possa continuare a “viaggiare”, anche attraverso il nostro “infinitamente piccolo” contributo, poiché itinerante è la vita degli attori come quella dei francescani.
Leonardo Petrillo